Mentre siamo impegnati nel corso La bellezza. Dove cercarla, come scoprirla, dedicato a insegnanti e cittadini, riceviamo sul tema un articolo del nostro Consigliere Elena Granata, docente di Analisi della Città e del Territorio al Politecnico di Milano. È una riflessione che nasce dagli atti vandalici di Roma e che è stata pubblicata dalla rivista Città Nuova.
Penultima fermata, Città Nuova, 20 febbraio 2015
La bellezza è nel nostro sguardo
di Elena Granata
La scena è di quelle che non si dimenticano facilmente. Piazza di Spagna è assediata, se ne perdono i contorni in mezzo alla confusione della folla. La Barcaccia giace ai piedi dello scalone, il suo marmo bianco appena restaurato appare immacolato. Il gioiello del Bernini, conosciuto nel mondo come una delle icone più belle del barocco italiano, è colmo di un’acqua trasparente e verdazzurra. Sembra impossibile che giaccia lì senza suscitare meraviglia. Eppure la prossemica beffarda dei tifosi olandesi del Feyenoord non sembra lasciare dubbi: la fontana è vista pressappoco come una discarica in cui abbandonare decine di bottiglie, lattine di birra e su cui riversare la tensione che precede la partita. Concordo con Vittorio Sgarbi. Quelle immagini rivelano un’ignoranza profonda e la completa inconsapevolezza di trovarsi in uno dei luoghi più amati e conosciuti del mondo. L’arte è usata alla stregua di un cassonetto. “L’arte è morta”, asserisce dopo qualche ora un inedito post del National Geographic, uno slogan che corre nelle rete.
Il sacco di Roma ci lascia attoniti perché rivela la fragilità della bellezza. Un oggetto, un’opera, un’architettura è bella (solo) quando ci sono occhi in grado di attribuirle valore e di conservare questo valore nel tempo. Altrimenti la sua bellezza è muta, fragile e oltraggiabile.
Ci sentiamo minacciati da questi nuovi barbari senza gentilezza né cultura. Possiamo chiamarcene fuori. Possiamo lamentarci della poca educazione alla bellezza data ai ragazzi nelle scuole, nei luoghi di formazione, nei media. Possiamo sentire l’urgenza di difendere le nostre bellezze con più determinazione e impegno.
Ma prima di tutto dobbiamo riconoscere che una certa distrazione ignorante o una distratta ignoranza avvolge tutti noi. Ci siamo abituati a vedere auto parcheggiate nelle piazze più belle d’Italia, magari su pavimenti antichi, navi giganti che attraversano Venezia minacciandola con il movimento ondulatorio e pance cariche di turisti. Troviamo normale che si costruisca lungo le coste, in zone – un tempo – agricole e con paesaggi agrari meravigliosi. Tolleriamo che le ville palladiane venete siano accerchiate dal cemento e che le colline pugliesi siano punteggiate senza ritegno da una selva di pale eoliche. Siamo disposti a sacrificare alberi secolari e piccoli boschi per l’ennesimo gomitolo di strade inutili. Alziamo lo sguardo: bellezza è come guardiamo il mondo, è l’amore che posiamo sulle cose. Torniamo a occuparci insieme del nostro patrimonio, prima che muoia di dimenticanza e di distrazione collettiva.